
Con il destino di Hannibal che è ancora un punto interrogativo, molti gridano al capolavoro e si lamentano della possibilità di cancellazione di una serie così buona. Io invece, pur continuando a nutrire per essa sufficiente curiosità, non sono del tutto convinta. Da un lato vedo dei punti di forza e del potenziale, dall’altro in troppi momenti mi viene da pensare “Hannibal, you are not as smart as you think you are”. E’ chiaro che lo show punta a essere intelligente e ricco di sottili caratterizzazioni psicologiche, capace di dare allo spettatore la sensazione di trovarsi in un ristorante di alto livello in cui gustare volta per volta raffinate portate (o puntate, che non a caso hanno sempre titoli molto appetitosi). Se talvolta riesce a immergermi in questa atmosfera, rivela anche segni di un approccio più sciatto che mi catapultano fuori da essa.
Che dire dunque di questo Trou Normand? Non è né tra gli episodi migliori e nemmeno tra i peggiori, ma comunque dopo averlo “consumato” rimane un gusto di dubbio e insoddisfazione. Come al solito, ciò è dovuto anche al caso della settimana, risolto in modo piuttosto fiacco. Le trame verticali sono sempre state la debolezza di Hannibal: omicidi rappresentati con ridicoli allestimenti ad effetto, acrobazie psicologiche per spiegare le ragioni dell’ “artista”, un grande vuoto di fondo. La nona puntata è dedicata a un tizio che, usando i pezzi delle sue vittime, ha costruito un totem volto a celebrare la sua lunga carriera omicida, esibendo per la prima volta il suo operato in pubblico. Quando la telecamera, dopo aver inquadrato Will e Jack che passeggiano tranquillamente sulla spiaggia, ha mostrato il monumento, ho alzato gli occhi al cielo. Questi tentativi di colpire lo spettatore con splatterate artistiche sono diventati così ripetitivi che ormai nemmeno mi divertono più, ma anzi sarebbe rinfrescante una scena del crimine più ordinaria. Uccidere in modo “normale” è passato di moda?
C’è da riconoscere che in questo caso la creatività dell’assassino è più appropriata del solito, dato che produrre un’opera d’arte con cui mettersi in mostra era la sua precisa intenzione. Il colpevole è un tipo abbastanza fuori di testa, ma le sue motivazioni sono già più sensate dello “scuoio la gente per trasformarla in angeli” o del “pianto funghi nei cadaveri per creare una rete di connessione spirituale” (vicende così strambe che, per poter sperare di essere intellettualmente interessanti e non solo WTF, avrebbero richiesto un approfondimento più convincente di quello che è stato offerto). Come altro punto a suo favore, il killer mostra un piacevole pragmatismo (si fa scoprire dopo tanti anni perché vuole andare in prigione per essere mantenuto gratis) e beneficia di un attore con un minimo di carisma (miracolo dei miracoli, per quanto riguarda i killer della settimana. Lance Henriksen è pure un po’ sprecato per il ruolo). Ciò però non basta a rendere il caso memorabile, vista anche l’estrema facilità e velocità con cui esso viene risolto: la scena del totem apre la puntata, ma a tre quarti del runtime la faccenda si chiude grazie a una semplice indagine sulle parentele. Capisco che l’assassino volesse essere preso, ma ciò non toglie che come storia è poco avvincente.
La magica abilità di Will è un’altra cosa cha mi lascia sempre perplessa. Non si tratta solo di un’empatia portata all’estremo, ma anche dell’apparente inversione del processo: invece immaginare le azioni dell’assassino dopo aver avuto informazioni a riguardo ed essersi messo nei suoi panni, Graham riesce a empatizzare con l’individuo a partire dal mero risultato delle sue azioni e solo attraverso questo sentimento scopre qualcosa su di lui. Una capacità molto da fantasy, che richiede una dose di sospensione dell’incredulità abbastanza alta. Il vero problema non è il realismo in sé, ma le ripercussioni che la questione ha sia sulle tematiche di fondo di Hannibal (se si cerca di trattare il problema dell’empatia in maniera seria e profonda, trasformarla in un tale abracadabra stona un po’) che sulle indagini stesse. L’intervento di Will è infatti uno strumento comodo che le rende più facili e meno complesse razionalmente. In realtà, nel caso del totem il contributo di questa empatia è pressoché superfluo e si poteva benissimo arrivare alla soluzione con mezzi più tradizionali. Essa invece diventa cruciale nella scoperta della responsabilità di Abigail nell’uccisione di Nicholas Boyle (l’uomo che l’aveva “aggredita” nella terza puntata).
Infatti, parlando della trama orizzontale, si può definire Trou Normand un episodio Abigail-centrico. E’ molto riuscito il parallelismo con il caso della settimana: se il killer del totem esibisce le sue vittime per essere smascherato e ricordato, la ragazza decide di dissotterrare il cadavere per placare la sua paura di essere scoperta. I’m not afraid of them findind Nicholas Boyle anymore, he’s been found, spiega ad Hannibal, confidandogli il proprio desiderio di controllare gli eventi, una motivazione contorta ma comprensibile. Anche lei, come l’altro assassino, vuole produrre un’opera che racconti la sua storia (anche la fastidiosa giornalista Freddy Lounds è tornata e deve aiutare Abigail a scrivere il best seller), ma lo scopo è più pratico: fare tanti soldi e convincere il pubblico della propria innocenza. Non cerca la fama in sé anche perché, a differenza del killer del totem, lei è stata già trascinata sotto i riflettori contro la sua volontà.
Fin qui viene fatto un buon lavoro su un personaggio già promettente, se non fosse per la rivelazione che arriva a fine episodio: Abigail confida ad Hannibal di aver aiutato attivamente il padre con gli omicidi. Intendiamoci, di dubbi sulla sua innocenza ne nutrivo già, ed era difficile non farlo con tutti quegli elementi di ambiguità. Però mi aspettavo (e avrei preferito) un altro genere di contributo. Ad esempio un ruolo più meccanico, come aiutarlo con i cadaveri o seguire le vittime di nascosto, o magari qualche menzogna qua e là. Si tratta invece di manipolazione ad altissimi livelli: Abigail avvicinava le ragazze con fare amichevole, le conquistava con la sua simpatia (talked to them, laughed and joked) e le spingeva a rivelare dove abitavano e quando erano sole in casa. Un lavoro del genere richiede un grado di freddezza e cinismo ancora più elevato, e non importa se lo ha fatto per non finire uccisa lei stessa. Non è un’immagine molto compatibile con la rappresentazione di Abigail, mostrata sì come disturbata e ambigua, ma anche con un forte accento sulla sua vulnerabilità e sui suoi sensi di colpa (atteggiamento che vediamo anche in contesti in cui non c’è ragione di fingere). C’è il tentativo di unire queste due facciate in un unico personaggio coerente e complesso, ma per ora l’operazione fatta mi sembra troppo grossolana, quasi come se si sacrificasse la solidità della caratterizzazione in favore del contrasto e del colpo di scena. L’ultimo flashback è rappresentativo: un secondo prima Abigail guarda il padre con occhi pieni di spavento, faticando a controllare la propria angoscia, un secondo dopo si gira per mettersi a chiacchierare con la coetanea presa di mira. E’ troppo estremo, troppo drastico. Spero che i prossimi episodi riescano a farmi cambiare idea.
La cosa più riuscita dello show comunque è sempre stato il Dr. Lecter. Avrei voluto dedicare più spazio a sottolinearne i pregi, ma purtroppo in Trou Normand egli resta abbastanza in ombra. Riesce tuttavia a proseguire nel suo avvicinamento a Will, che ora condivide con lui il segreto sull’omicidio di Nicholas. Hannibal capisce che, una volta che il corpo è stato trovato e sottoposto alla Magica Empatia, è inutile cercare di nascondere la verità. Sceglie quindi di concedergliene un pezzo (un po’ come ha fatto Abigail dissotterrando il corpo), facendo leva sull’affetto di Will per la ragazza per convincerlo a tacere. Il legame tra i due è rafforzato anche dai crescenti problemi mentali che le indagini causano a Graham. I’m your friend, Will. I don’t care about the lives you save, I care about your life. La preoccupazione di Hannibal per Will appare credibile, così come appare comprensibile la scelta del secondo di mantenere il segreto. In generale, lo show è riuscito a rendere davvero persuasivo il modo in cui lo psicologo cannibale si presenta al mondo esterno, e questo non è un risultato da sottovalutare. Infine, malgrado le critiche che ho mosso all’episodio, i suoi sviluppi narrativi stuzzicano la mia curiosità (stimolata anche dal fatto di non sapere quasi nulla della storia. Ho visto Il Silenzio degli Innocenti anni fa e poi basta), facendomi venire voglia di vedere il successivo.
Non è una vera e propria bocciatura, ma non me la sento nemmeno di dire “ok”.
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