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Hannibal – 1×06 – Entrée

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Giunto a metà della stagione, Hannibal compie il suo giro di boa tuffandosi con coraggio e rapidità dentro la mitologia della saga (letteraria e cinematografica), con un affondo diretto verso quello che nello scorso episodio era stato appena una strizzata d’occhio: parliamo ovviamente di quel Chesapeake Ripper, che tutti i lettori della saga conoscono bene, e che è l’effettivo protagonista di Entrée.  Ma se la cannibalizzazione dei romanzi di Harris ce l’aspettiamo come conseguenza naturale del processo, ciò che illumina l’episodio di questa settimana ha che fare soprattutto con una messinscena che allude continuamente alla propria dispensa narrativa con una serie di stoccate stilistiche e linguistiche che mentre fanno la gioia dei fan o degli appassionati di postmodernismo e avantpop, contribuiscono in modo decisivo a irrobustire le spalle del serial e a proiettarlo verso traguardi anche più alti.

Insomma, giusto per anticipare: la prosecuzione di questa recensione è un elogio entusiastico di chi vi scrive per una serie che sta crescendo passo dopo passo e non accenna a fermarsi.

E partiamo proprio dal titolo: entrée, come per gli altri episodi, allude principalmente al lessico gastronomico. Nell’ordine della grande cucina ottocentesca francese, il termine indica la portata che segue l’antipasto o la minestra, subito prima della portata centrale (di carne). È facile intuire, dunque, che la puntata in oggetto è il primo assaggio di un pasto ancora più prelibato e completo che arriverà con le prossime portate/episodi. E non potrebbe essere altrimenti visto che, dopo un paio di gesti velati e qualche sottile depistaggio, Hannibal si comporta come quel mostro che conosciamo.

La spinta in avanti avviene curiosamente quando l’episodio fa un passo indietro: il flashback che coinvolge Miriam Lass, interpretata da un volto ben noto ai fanatici seriali, quello di Anna Chlumsky alias Amy Brookheimer, uno dei “pilastri” dell’entourage del vicepresidente Selina Meyer. Ora, se mi dite, chi? vi mando subito a recuperare Veep. (Peraltro la Chlumsky è famosa sin da giovanissima per aver preso parte ad alcune commedie di un certo successo). Miriam Lass è stata una delle prime protette di Jack Crawford, una giovane recluta pescata dal cesto e indirizzata verso il caso del Chesapeake Ripper, due anni prima degli eventi che seguiamo noi, e – scopriremo alla fine – uccisa proprio dal killer che stava inseguendo, poiché ci si era avvicinata anche troppo.

Miriam anticipa ed evoca il percorso che avrà Will, ma soprattutto evoca e anticipa il personaggio di Clarice Starling e Il silenzio degli innocenti tout court. Pensiamo alla camminata della dottoressa Bloom all’interno del corridoio parallelo alle celle del Chesapeake State Hospital e al suo incontro col dottor Gideon. L’episodio si apre proprio con lui e il compimento di un omicidio che nella sua esecuzione segue una procedura-fotocopia di quello che sarà il piano di fuga di Hannibal nel film di Demme; ma non si tratta di lezioso omaggio, quanto di portare lentamente nell’episodio e nella serie la psiche malata di Lecter, un omaggio in piccolo per preparare l’entrée del vero protagonista.

Non è un caso, infatti, se rispetto alle settimane scorse Will attraversa l’episodio come fiancheggiatore anziché protagonista, perché sta cedendo il proscenio al mostro eponimo: il personaggio Hannibal si comporta proprio come il serial killer Hannibal e come ogni altro serial killer che si veda rubare lo scettro e l’attenzione del proprio operato, per errata attribuzione, rivendica il riconoscimento del proprio operato e del ruolo principale. D’altronde, poi, chi meglio di Will potrà capire questi intenti? All’inizio di Entrée lo vediamo, secondo la grammatica visiva del serial, sostituirsi all’assassino di cui sta cercando di interpretare gesti e motivazioni. Queste sequenze che ci fanno entrare nella mente di Will per rivivere, in soggettiva, l’efferatezza di quei crimini sono i pilastri estetico-concettuali della serie, esprimono al meglio l’idea che la violenza sanguinaria, una mente che consideriamo deviata, un caso da carcere psichiatrico nascondono pulsioni dormienti che appartengono all’uomo, alla sua natura primordiale. Nella stragrande maggioranza dei casi esse vengono spente inconsciamente dalla cultura, ma permane quello spicchio statistico in cui l’istinto sposato alla razionalità e ai complessi stimoli della società genera mostri.

Sono queste sequenze a scatenare il lato perturbante della serie, insieme all’idea di contrapporre uno psichiatra cannibale e raffinato gourmet dal fascino indiscutibile a un insegnante di scienze comportamentali prestato all’FBI che sembra il ricettacolo di disturbi mentali. Lecter si pone al di sopra della morale e al di sopra dei propri interlocutori, forte del suo altissimo quoziente intellettivo, ma anche sulla scorta delle informazioni che come direbbe qualsiasi sociologo o politologo della nostra epoca sono la vera merce di scambio. In Entrée gioca con Crawford e le sue speranze ma al tempo stesso gli parla in tutta sincerità, da amico, per quanto riguarda sua moglie.

Ed è qui che il personaggio diventa estensione dell’intera serie (eponima), o viceversa, non solo secondo la facile similitudine – serial killer = serial televisivo – ma piuttosto nell’elevarsi al di sopra dell’intreccio per incarnare un punto di vista a metà strada tra onniscienza e immersione, una divinità postmoderna che fagocita, digerisce e restituisce alla platea filamenti di una mitologia che penetra e va oltre il testo e i testi di partenza. Un esempio diretto di questo meccanismo è rappresentato dalla cena con Chilton e la dottoressa Bloom: la scena è un vero rigoglio di allusioni, da Hannibal che serve lingua d’agnello (senza lingua gli agnelli restano in silenzio…) ad Hannibal che ciarla rispolverando battute d’annata come it’s nice to have an old friend for dinner, proprio davanti a Chilton.

Messinscena perfetta, estrema cura della fotografia e della regia, interpreti sopraffini e, nel caso di Mads Mikkelsen, divinamente strabici nell’infilarsi nello stampo di un personaggio rinato più volte, nei seguiti letterari come nelle incarnazioni di attori diversi (Brian Cox, Gaspard Ulliel e, naturalmente, Anthony Hopkins), riuscendo nella miracolosa impresa di rendere il personaggio insieme familiare e nuovo: Hannibal è uno dei gioielli della nuova stagione televisiva.

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