Quest’anno Hannibal sembra aver consolidato con successo le proprie cifre stilistiche e il tono della narrazione. Le allegorie, i metaforoni, l’onnipresente penombra e i doppi sensi sornioni sono ancora tutti lì, ma chi non li soffre ha già avuto modo di notare come vengano amalgamati al repertorio poliziesco in maniera fluida e finalmente efficace.
Dopo tante scene orrorifiche sfumate nell’imbarazzo, l’apertura terrorizzante di questo episodio è così riuscita nella penombra lunare, nel suono della carne che si scuce (ugh!) e nella fuga al cardiopalma del miglior spot contro la tossicodipendenza (non drogarti, che se poi un killer ti rapisce non schiatti subito!) da renderne la visione quasi dolorosa.
A life lived accrues in the cracks
Si conclude la vicenda del serial killer pittore, un caso capace di fondere le esigenze orrorifico-estetiche di cui si ciba la serie (pun intendend, sempre) con la ricerca di comprensione ed empatia di Hannibal. Il tutto in un episodio che rinsalda ulteriormente le similitudini e le differenze tra il vecchio e il nuovo Will, capace anche lui d’intuizioni visionarie (bellissima la resa per immagini di un senso così complesso da raccontare come l’olfatto) ma reticente perché desideroso di godersi in anteprima l’opera e l’artista.
Il breve dialogo con il pittore sottolinea poi come la facciamo facile noi, etichettando tutti questi psicopatici assassini seriali come serial killer. In questo caso è Hannibal ad essere rude, cucendo l’artista alla sua opera in una posizione che è un pugno nell’occhio, l’evidente aggiunta di una pennellata diversa. Nonostante condividano l’attitudine assassina, non potevano essere più agli antipodi: uno impegnato da mesi (anni?) nella realizzazione di un grande occhio che contempla un cielo nichilisticamente vuoto, l’altro che lo costringe a osservare un Dio che considera come una sorta di maestro nell’arte di togliere la vita alle sue creature.
L’intromissione di Hannibal però gioca su più livelli, perché è anche un formidabile messaggio per chi saprà intuirne la valenza da una semplice fotografia: ancora una volta la veste di dottore pone Hannibal su un gradino più alto, sapendo che nelle sue visioni il paziente Will vedrà lui in quel cielo.
Cracks are not always weaknesses
Will però ora non è più lo spettatore passivo di uno spettacolo in cui una vocina un uomo cervo sembra dirigere il corso degli eventi. L’impressione è che la riuscita della serie dipenderà molto dalla capacità di Hugh Dancy di rendere in maniera realistica il cambiamento d’attitudine del suo personaggio, ora cosciente di essere un attore nella rappresentazione teatrale finora scritta da Hannibal. Accettare l’accordo proposto da una Cynthia Nixon ancora anonima significherebbe essere rude, privare il dottor Lecter del suo ruolo di burattinaio. Perciò Will decide di non recidere i fili, anche se questa decisione potrebbe condurlo alla pena di morte. Anzi, chiede ad Hannibal di tornare ad essere il suo psichiatra, consapevole di poter sperare in un passo falso del mostro solo ponendosi in una condizione più debole (quella del paziente), sperando in un “coinvolgimento emotivo” che porti Hannibal a fare un passo falso nel tentativo di riconquistare la sua amicizia.
Dimostrare la propria innocenza però richiederà a Will una nuova immersione nel mondo da incubo nella sua memoria, in cui sa annidarsi una parte importante della verità che ha intuito. Forse per questo se ne è stato tranquillo nel suo mind palace fluviale, percependo il controllo a distanza di Hannibal, in attesa di trovare un solido ancoraggio di cui ha bisogno per non sprofondare in ciò che ha paura di ricordare.
You are dangerous.
Ancoraggio non così semplice da trovare, perché se sia Alana che Jack non sono davvero persuasi dal coinvolgimento cosciente di Will, è anche vero che nessuno sembra capace di vedere tra le cuciture della sembianza umana di Hannibal. In questo senso è interessante il maggior coinvolgimento di Beverly, un comprimario che si è fatto notare nella prima stagione, promosso ad artificio narrativo per coinvolgere Will nelle indagini e a voce razionale delle tesi accusatorie dello stesso.
Il nulla osta pilatesco che le dà Jack rende chiarissimo perché lui non possa credere veramente nell’innocenza del suo sottoposto né persuadersi della sua colpevolezza. Come il suo test psicologico evidenzia, Jack è così pervaso dal suo orgoglio da essere incapace di ammettere la sua fallacità, attitudine che lo rende cieco alle reticenze di Bedelia, all’inganno di Hannibal (scelto sulla base del suo istinto) e possibile carnefice della stessa Beverly, con cui ripete lo schema che ha portato all’assassinio della sua sottoposta e alla prigionia di Will. Quel darle il suo consenso informale, quel lasciare che i suoi collaboratori facciano quello che pensano il capo desideri senza coprirgli le spalle rivela quando il suo personaggio sia rimasto immobile.
Chi invece è soggetto di una glaciale epifania è Bedelia, interpretata da una Gillian Anderson così misurata ma così incisiva da far rimpiangere amaramente il suo probabile (e si spera solo momentaneo) accantonamento. Comprendendo pienamente la pericolosità del suo paziente e recidendo ogni contatto personale con lui, Bedelia infligge il primo vero colpo alla tela d’inganni di Hannibal. Non solo perché la sua scomparsa come “amica” (etichetta che ha sempre rifiutato) lo renderà ancora più desideroso riavvicinarsi a Will (e quindi più vulnerabile), ma anche perché con il suo I believe you, Bedelia da semplice sconosciuta diventa quell’ancoraggio che Will desiderava disperatamente.
In uno show coronato dalle facce sconvolte di Dancy e dal sorriso sornione di Mikkelsen, Anderson in pochi minuti dà un’esemplare prova di misurata espressività, trasformando Bedelia da una sponda neutrale per Hannibal nella consapevole prima bozza di quello che poi sarebbe diventato Will, la manipolazione di una persona in grado di capire davvero cosa prova il dottor Lecter. La speranza è di sapere prima o poi quale sia il ricatto che la stringe a Hannibal, quale il famoso incidente in cui il nostro sembra essere coinvolto più che come semplice spettatore (ma quando mai).
Forse ci sarebbe stata anche una votazione più alta, ma sono convinta che Sakizuki sia quello che il titolo suggerisce, l’equivalente giapponese dell’amuse-bouche della prima serie, un ottimo aperitivo in vista delle luculliane portate seguenti. Essere consapevoli che Hannibal sia pericoloso non significa comprendere a fondo quanto lo sia. Sono convinta che sotto il suo completo e nel suo freezer nasconda più di una spiacevole sorpresa per quanti gli danno la caccia e sperando di poterlo ingannare.
- Unica nota stonata dell’episodio: perché mettersi la divisa del killer seriale (quella tuta impermeabile trasparente, insomma, quel che è) se poi lasci che la tua capigliatura sparga ovunque il tuo prezioso DNA? Capisco che esteticamente un Mikkelsen con la cuffietta sarebbe meno elegante, però dà proprio l’impressione di sbagliato.
L'articolo Hannibal – 2×02 – Sakizuki sembra essere il primo su Serialmente.